martedì 13 agosto 2013

La Stella cadente che cadde in ritardo.


L'altra sera mi trovavo nella mia stanza, gli occhi incollati al monitor del computer nel tentativo di vincere la noia post- cena. Avete presente la sensazione? Leggevo con ostentato interesse la sezione news di Google, quando mi sono imbattuto in un articolo riguardante la notte di San Lorenzo.

O cazzo! Anche quest'anno mi sono dimenticato di guardare le stelle cadenti!


Non che sia una priorità nella mia vita, non me l'ha prescritto il medico e non ho poi questa gran pazienza nel rimanere ore e ore col naso all'insù a guardare il vuoto. Tuttavia, inaspettatamente, la cosa mi turba. Sento dentro di me, in profondità, una sensazione di dolore, come se avessi appena perso una parte del mio corpo, del mio essere. Sento una voce, remota ma incredibilmente familiare, che urla. Un grido di disperazione.


Che diavolo mi succede? Di chi è quella voce? L'ho già sentita, ma proprio non ricordo a chi appartenga.


Fuori dalla mia finestra è già buio. È una serata piuttosto fresca per essere agosto, quindi mi munisco di coperta e mi precipito in giardino, sperando di vedere qualche stella ritardataria, proprio come me. Comincia l'attesa. Minuti che diventano ore, nella speranza di ricevere un piccolo segno dal cielo.


Basta avere giusto un po' di pazienza perché gli occhi si abituino al buio e poi eccole: milioni, miliardi di stelle che sembrano ricambiare il tuo sguardo. Uno sguardo che va dritto all'infinito, all'inafferrabile, al fantastico. Viviamo ad un passo dall'immortalità e neanche ce ne rendiamo conto. Eppure sopra di noi c'è una finestra sempre aperta sul paradiso. Improvvisamente mi sento piccolo e anche un po' stupido.


Quanto della nostra umanità abbiamo perso? Quanto della nostra poesia, se abbiamo dimenticato di guardare le stelle? 


Oramai siamo solo in grado di guardare verso il basso. Raramente guardiamo negli occhi le persone che ci stanno a fianco, persino quelle che amiamo di più. Siamo ciechi che camminano soli, in un mondo di persone sole. Il cielo poi, quello non lo guardiamo proprio.


Ma eccola finalmente: la mia stella. Dura appena un attimo la sua corsa, tanto quanto basta perché io la catturi col mio sguardo e la faccia mia per sempre. Esprimo il mio desiderio, con forza, con convinzione, perché quella è la mia stella e nessuno può affermare il contrario. Ha atteso pazientemente di cadere perché io la vedessi. Ci credo, ci voglio credere.


La notte è ormai inoltrata quando si impossessa di me una nuova sensazione. Una sensazione di pace, di serenità e di consapevolezza. Sotto quello stesso cielo infatti, anche se lontana, riposa la persona che un giorno romperà il silenzio del mio cuore con la semplicità della meraviglia. Le mando un bacio, attraverso le stelle. Sperando che queste siano così gentili da vegliare su di lei.

martedì 17 aprile 2012

Just keep smashing mugs.

Io non credo nelle favole. Non in tutte almeno.
Perché spesso le favole sono noiose e, diciamocelo, anche un po' razziste. Non ci giurerei, ma sono convinto che alcune di esse siano state diffuse sottobanco dalla Lega Nord. 

La trama è sempre la stessa: un adolescente di sangue nobile che per le più svariate ragioni (vuoi una perfida matrigna, un malvagio incantesimo o uno scherzo del Destino) si trova ad essere detronizzato, privato del suo status regale, costretto a vivere come una persona qualunque in mezzo ad altre persone qualunque. Dio ce ne scampi, quale disgrazia!

Nel corso della storia il nostro eroe (o la nostra eroina) si troverà ad affrontare mille peripezie, aiutato da teneri quanto improbabili seguaci (dei nani, degli animaletti parlanti, una grassa fatina dai lineamenti materni). Ma non temete: l'epilogo rassicurante è proprio dietro l'angolo. Basta stringere i denti ancora per una manciata di minuti. L'incantesimo si spezzerà, il cattivo morirà (in un modo tanto orribile quanto esemplare) e il "nostro" riuscirà finalmente a riconquistare il suo trono e a convolare a nozze con il principe o la principessa di turno. Un suo pari quindi. E così vissero tutti felici, contenti, biondi e con gli occhi azzurri.

Io non ci sto. Non me ne voglia il signor Disney (o il popolo del Carroccio), ma proprio non la mando giù. Che noia! Che strazio! Leggendo e guardando queste favole infatti, mi è sempre sorta una terribile preoccupazione: ma che futuro può avere una simile unione? I ragazzi sono troppo giovani, troppo uguali, troppo puri e troppo biondi. Finirà male, lo so. E non importa quanti sequel de La Sirenetta sarò costretto a comprare in homevideo. La mia preoccupazione resta.

Ed è la stessa preoccupazione che mi viene quando vedo una coppia di amici che stanno insieme già da tre, quattro, cinque o sei anni. Non si può trovare l'amore al liceo. Bisogna sudarselo l'amore. Bisogna offrirgli tutta la nostra esperienza, tutto il nostro vissuto, tutto il nostro sudore e tutte le nostre lacrime. Bisogna avere il coraggio di aspettare e, quando serve, di cambiare. Di andare alla ricerca di chi è diverso da noi.

Perché non c'è niente di meglio di un pirata che, specchiandosi negli occhi di una principessa, trovi il suo lato più nobile. E non c'è niente di meglio di una principessa che, abbandonatasi all'amore per un pirata, trovi il suo lato più passionale e ribelle.  

La verità è che la persona giusta ci sta solo aspettando da qualche parte. Come un meraviglioso lieto fine.

giovedì 5 aprile 2012

Non scrivo mica lettere d'amore.

Ecco.
Ci siamo.
Dopo mesi di indecisione, eccomi scrivere il primo post sul mio Blog nuovo di zecca.
C'era davvero bisogno di un altro, lagnosissimo blog in questa nostra rete già sovraffollata di patetici e noiosi scribacchini da due soldi? Assolutamente no! Dio ce ne scampi! Ne avevo forse bisogno io? Sto cercando di capirlo, ma intanto continuo a scrivere. Perché non si sa mai che sia proprio così. 

Urge quindi una precisazione, che risponda alla domanda: perché intitolare un blog Nel Paese delle Creature selvagge? Non importa che la domanda me la sia posta da solo, come avrebbe fatto il miglior Marzullo all'apice delle sue paranoie intellettuali. L'importante è fornire una risposta. Parleremo in seguito dei miei problemi di personalità multipla.

Nel Paese delle Creature selvagge è innanzitutto un libro per bambini (nel titolo italiano in verità la parola "creature" è sostituita dalla meno rassicurante "mostri"), che io ho scoperto da adulto e ho amato alla follia.
Si tratta di un libro illustrato, accompagnato da poche, pochissime parole. Insomma: una meraviglia.

Perché quando cresciamo la prima cosa che perdiamo è la semplicità nel raccontare i nostri sentimenti, le nostre paure, le nostre speranze. Il nostro cuore diventa una fortezza, arroccata sulla montagna delle nostre esperienze negative. E Dio solo sa se anche io non ne ho avuto la mia parte.
E così ci trasformiamo in Creature selvagge, in Mostri tutti diversi e allo stesso tempo tutti uguali, schiacciati da una realtà troppo opprimente, dalle contingenze della vita, dalle nostre fobie e dai nostri egoismi. Ma ora mi fermo, perché non vorrei passare per un pessimista.

Al contrario, io sono un fastidiosissimo ottimista. Un inguaribile romantico. Un pervicace studioso della natura umana. Un brillante inventore alle prime armi. E ho trovato una cura al peggiore dei nostri mali. Inutile scriverne qui la formula: perderei la vostra attenzione! Cercherò di scriverla un po' alla volta, con l'aiuto delle persone che mi stanno vicino e che ogni giorno mi danno un indizio in più per perfezionare la mia ricetta. Che può essere anche la vostra, se vi va.

Nel Paese delle Creature selvagge (o dei mostri, se preferite) è diventato poi un grazioso film di Spike Jonze. Il claim che accompagnava la campagna di affissioni del film era: there's one in all of us. Nel manifesto, subito sotto a questa frase, era raffigurato un bambino (Max, il protagonista), che veniva incoronato re da uno dei mostri del titolo. Ce n'è uno in ognuno di noi...di mostro? Di re? Mi sono fatto questa domanda mille volte, in diversi momenti della mia vita e sono giunto a questa conclusione: dentro di noi coesistono un re e un mostro. Il mostro è quello che ogni giorno presentiamo in ufficio, a scuola, al bar con gli amici, nel mondo. Il mostro è la parte di noi che la vita ci chiede. No, scusate ho sbagliato: non "che ci chiede", ma "che pretende".

Il trucco sta nel tenersi stretta quell'altra metà del nostro essere. Nel non abbandonarla mai e nel donarla alle persone che meritano. Non dimentichiamoci che in fondo siamo tutti principi e principesse.